Grifo: è il momento del libero pensiero

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Grifo: è il momento del libero pensiero. Che siamo un club con un certo blasone lo deve comprendere in primis la società. E la gente diserta il Curi non perchè vuole la

Grifo: è il momento del libero pensiero. Che siamo un club con un certo blasone lo deve comprendere in primis la società. E la gente diserta il Curi non perchè vuole la “luna”

 

Dire che come una rondine non fa primavera, una goccia (o anche due) di pioggia non fanno nubifragio, è abbastanza lapalissiano.

Come, quindi, con 2 vittorie consecutive non eravamo già in A, con 2 sconfitte consecutive non siamo per questo condannati all’ennesimo campionato di media classifica o peggio.

Ma al di là dei sensazionalismi, delle “tragedie greche” e del momento poco felice, è indiscutibile che – dopo 5 anni più o meno uguali – al Perugia Calcio vi sia un problema strutturale.

Il “solito” problema.

La mancanza di programmazione.

Riassumo, per i più disattenti:

8 allenatori in 5 anni di B: 1 all’anno dal 2014-15, tranne il 2017-18 (3) e quest’anno già 2.

Gli amanti delle statistiche ci fanno sapere che in questi 5 anni, i giocatori che hanno indossato la casacca biancorossa sarebbero circa 150.

Non so se ciò sia vero (non sono un cultore delle statistiche), ma anche se fossero solo la metà, il dato sarebbe lo stesso allarmante.

Tolti Comotto, Del Prete ed – in parte – Di Carmine ed Ardemagni (andati e tornati) non c’è un solo giocatore tra le decine e decine “girati” a Pian di Massiano che abbia indossato per almeno due stagioni consecutive la maglia col Grifo sul petto.

Tant’è che l’attuale capitano, Aleandro Rosi, è biancorosso solo dal gennaio 2019.

Ed i migliori delle due ultime stagioni – Verre e Iemmello – in prestito.

Non solo tra i giocatori non c’è più una “bandiera”, ma non ce n’è nemmeno uno che abbia passato un po’ di tempo a Pian di Massiano, per assimilare lo spirito battagliero del Grifo, il “peso” della maglia e trasmetterlo ai nuovi.

Si è perso il filo conduttore.

Non possiamo pertanto dolerci se la squadra di quest’anno – al pari di quelle del recente passato – sembri non avere un’anima.

Ma la riprova di quanto sostengo è Camplone.

No, non sono mai stato una “vedovella” e chi mi conosce sa che il tecnico abruzzese non mi ha mai esaltato e non ne auspico un ritorno al Curi.

Ma Camplone – unico tecnico rimasto sulla panchina biancorossa per più di una stagione – proprio per questo ha avuto la possibilità di programmare ed ha conquistato l’unico trofeo della gestione Santopadre: la promozione in B.

Perciò sarò anche un “gufo”, un disfattista.

Ma il cervello all’ammasso non l’ho (ancora) dato ed oggi 17 febbraio – oltretutto – si celebra l’anniversario del martirio del Domenicano di Nola, Giordano Bruno.

Nome “Giordano” e cognome “Bruno”, non viceversa, che per gli appassionati di calcio diventerebbe il centravanti di Lazio e Napoli negli anni ’80-‘90.

Giordano Bruno che per rivendicare la sua libertà di pensiero, pur di non ritrattare le sue idee ritenute eretiche, si è fatto bruciare vivo a Campo de’ Fiori a Roma, il 17 febbraio del 1600.

Proprio oggi che cade l’anniversario di chi è morto per la libertà di pensiero, mi pare brutto – nel mio piccolo – abdicare le mie idee ed uniformarmi al “pensiero unico”.

Quello che dice “le risorse sono limitate”, “più di così non si può fare”, “teniamoci stretta questa proprietà, perché non ci sono alternative” e “se falliamo un’altra volta, torniamo a giocare tra i dilettanti”, ecc., ecc.

Non mi pare che il Frosinone nel 2015, la Spal nel 2017, il Lecce l’anno scorso avessero speso chissà quali somme, quali spese “pazze”.

Hanno semplicemente programmato, costruito una squadra già in Lega Pro e raggiunto subito la A con pochi innesti mirati.

Soldi spesi bene.

Se era sotto gli occhi di tutti che nella rosa del Perugia mancasse un centrocampista interditore di “peso”, perché a Gennaio sono arrivati due difensori ed un regista, ma non un centrocampista?

Tutti e tre – tra l’altro – fermi da tempo.

Continuo, pertanto, a sostenere – a costo di essere additato come un “gufo”, un disfattista – che se il Grifo andrà in serie A, con questo metodo di gestione, questa rivoluzione ogni anno, questi mercati invernali del tutto incomprensibili, sarà solo e soltanto per mera fortuna.

In buona sostanza, ogni anno un “terno al lotto”, una monetina tirata in aria.

E quindi tutto quanto leggo sui Social questi giorni, che il Perugia non è il Cittadella o il Frosinone.

Gli anni di seria A, l’imbattibilità, l’Intertoto, le innovazioni nate all’ombra dell’Arco Etrusco (sponsorizzazioni, calciatori in prestito e plusvalenze), che nate a Perugia hanno portato tutto il calcio nel terzo millennio.

Il fatto che al Museo del Calcio di Coverciano ci sia il gagliardetto del Grifo (non quello del Frosinone o Cittadella), perché il Perugia ha indubbiamente fatto la storia del calcio italiano.

Queste sono tutte cose che – è vero – devono capire i calciatori che indossano la gloriosa casacca biancorossa.

Ma sono anche cose che – prima di loro – deve capire bene, ma molto bene chi ha la proprietà del Grifo.

Che non ha comprato una decorosissima squadra di provincia, che sia sufficiente far vivacchiare.

Ma hanno comprato una Società con un blasone, con una storia che poche altre provinciali hanno.

È ora di dirci chiaro in faccia che tanti perugini disertano il Curi, non perché vogliono andare a tutti i costi in A e pretendono il “sangue” dalla Società.

I perugini non vanno allo stadio per non vedere l’amato Grifo umiliato a casa propria.

Per non vedere l’amato Grifo temere squadre con storia e blasone nemmeno lontanamente paragonabili.

E qualche sporadica vittoria (le “2 rondini”) non cambiano il trend.

Non abbiamo dato il cervello all’ammasso.

Avv. Gian Luca Laurenzi