Il Grifo visto a Latina non ha attenuanti

1483
 

A me è sempre piaciuto pensare con la mia testa e non uniformarmi al “pensiero unico”, che – anche nel calcio – sembra essere la tendenza imperante.

Dopo la scialba partita di Latina tante critiche sono piovute addosso alla squadra da parte di molti tifosi per lo scarso impegno dimostrato in una partita decisiva, critiche duramente stigmatizzate da altri – che evidentemente si considerano “più tifosi” – sull’onda che il Grifo non si discute mai, ma si ama incondizionatamente, anche quando va in campo con l’atteggiamento rinunciatario di Latina.

Già…ma allora è necessario chiarirci alcuni concetti.

Innanzitutto capire quale sia il “pedigree” del vero tifoso del Perugia ed in secondo luogo cosa significhi “amare il Grifo”.

É “vero tifoso” chi viene allo stadio solo se il Grifo vince e magari è in serie A, oppure chi l’ha seguito anche nei campi di D?

La risposta è quantomai facile: il vero tifoso è quello che segue la squadra anche nei tempi bui e non solo nel passato più recente, ma anche dopo la prima penalizzazione (e retrocessione in B) del 1981 e la doppia retrocessione d’ufficio in C2 del 1986, quando “leggende” biancorosse come capitan Benedetti, Bia, Gori, Nofri, “saracinesca” Vinti ed un giovanissimo Ravanelli giocavano a Bisceglie, Galatina e Cesenatico, invece che a Milano, Torino e Roma.

Ma, se così fosse, se diritto di cittadinanza, come “veri tifosi” ce l’hanno solo gli assidui, allo stadio dovremmo essere solo in poche migliaia, invece che gli oltre diecimila che il Presidente invoca ed auspica, i cui biglietti/abbonamenti garantirebbero introiti quantomai necessari alla società.

In realtà è importantissimo lo “zoccolo duro” di tifosi, ma è altrettanto importante per la società anche quel pubblico più “tiepido”, quelli che pretendono lo spettacolo, i risultati; quelli che si pongono con un atteggiamento critico; quelli che devono poter avere il diritto di contestare lo spettacolo, se non è all’altezza delle loro aspettative, perché il calcio, oltre che una passione ed uno sport è anche (e soprattutto) uno spettacolo, un intrattenimento.

Semplicemente perché queste persone pagano il biglietto, fanno l’abbonamento allo stadio, fanno l’abbonamento a Sky e fanno arrivare alla società risorse per costruire rose competitive: questi – che ci piaccia o no – sono, quindi, importanti come i fedelissimi, quelli che vanno allo stadio sempre, anche in D.

Ed allora, cosa significa “amare il Grifo”?

Significa sopportare supinamente l’atteggiamento rinunciatario di sabato, partita importantissima contro l’ultima in classifica?   Significa sopportare supinamente il non-gioco dell’anno passato?   Significa non poter criticare la squadra per non essere tacciati come disfattisti, come coloro che non amano il Perugia?

“Amare il Grifo”, significa amare il Perugia, ma i giocatori, i dirigenti, l’area tecnica, non sono il Grifo: tutti sono di passaggio, ciò che rimane, ciò che “È” il Perugia Calcio sono il simbolo, i colori e la maglia.

Il Grifo si ama a prescindere da chi ne sia presidente, tecnico o centravanti ed a prescindere se giochi in A o in Promozione.

Ma “amare il Grifo” significa anche (e soprattutto) onorarne la maglia ed i colori, onorarne i tifosi che si fanno chilometri per tifare e quindi coloro che PER PRIMI devono amare (e rispettare) il Grifo, sono coloro che ne indossano i colori, che portano il Grifo sul cuore, che scendono in campo.

Come ho detto tante volte, dobbiamo essere grati a Bucchi ed ai giocatori per questa bellissima stagione, a patto che ci si provi fino alla fine con impegno, grinta e determinazione.

Se c’è impegno, grinta e determinazione, non c’importa se si facciano o meno i play off, se si vada in A o si resti in B.

Ma se dalla partita con lo Spezia sapevamo di avere tre finali di Champions League da giocare, se già abbiamo “toppato” la prima di queste finali, se con il Latina – ultimo in classifica e già retrocesso – tutta la serie B confida su di noi per fare i play off, ed andiamo in campo – seppur in emergenza – con quell’atteggiamento rinunciatario e molliccio che abbiamo visto tutti, io m’incazzo di brutto, proprio perché amo il Grifo, proprio perché chi ha indossato la maglia non l’ha onorata, non ha onorato il Perugia, non ne ha onorato i tifosi.

E me ne frego del risultato: avremmo potuto anche perdere.   Nello sport ci sta di perdere, anche con l’ultima in classifica se gioca meglio, ma al Francioni avrei voluto vedere undici leoni con il sangue agli occhi e poter dire “pazienza, c’abbiamo provato in tutti i modi, ma non ci siamo riusciti, grazie lo stesso ragazzi”.

Ma sabato non c’hanno nemmeno provato:

E sinceramente me ne frego anche degli ennesimi rigori inesistenti che continuano a penalizzarci: rigori o non rigori, non vorrei più vedere le “mosciarelle” che sabato passeggiavano al Francioni.

Ed allora, se il tifoso – anche quello “tiepido”, anche quello “dei tempi buoni” – s’incazza con gli 11 in campo a Latina è solo e soltanto per amore e ne ha tutto il diritto e le ragioni.

Tutti quelli – tra cui il sottoscritto – che hanno criticato duramente il Perugia di sabato, non l’hanno fatto perché rischiavano di sfumare i play off, ma semplicemente perché abbiamo visto – con un campionato ancora aperto, con una promozione ancora possibile – una squadra che sembrava non crederci, che sembrava non aver più nulla da chiedere a questo campionato.

Mentre il campionato del Perugia è ancora apertissimo: basta solo crederci.

Noi tifosi ci crediamo, ma soprattutto ci deve credere chi va in campo.

Per la nostra parte tiferemo fino all’ultimo minuto dell’ultima partita: festeggeremo se si va in A e se non si va in A, festeggeremo lo stesso e ringrazieremo con riconoscenza la squadra che c’ha provato con impegno, grinta e determinazione.

Ma dobbiamo provarci: una tifoseria ed un’intera città lo meritano.

Fin da giovedì sera, quindi, vogliamo undici leoni in campo e vada come vada!!!

Avv. Gian Luca Laurenzi