Quali sono i “pro” ed i “contro” di essere Presidente del Grifo?

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Focus sugli ingaggi: Grifo sempre oculato. Nella classifica degli emolumenti fissi Perugia 13esimo con un +14% rispetto alla scorsa stagione

Quali sono i “pro” ed i “contro” di essere Presidente del Grifo? Analisi di una piazza calcistica molto esigente, ma che non esprime il massimo nelle “presenze”

 

Anche se centra poco con il tema dell’articolo, voglio iniziare con un appello a Massimiliano Santopadre nella sua duplice veste di Presidente del Perugia Calcio e “patron” di Frankie Garage.

Perché nell’official merchandising del Perugia Calcio – prodotto da Frankie Garage – non c’è nulla per noi “taglie forti”?

Capisco bene che l’abbigliamento ufficiale è modulato sulle misure di atleti professionisti, in piena forma e senza un filo di grasso.

Capisco, inoltre, che per un brand di tendenza come FG, l’abbigliamento “avvitato” per chi ha il fisico atletico ed asciutto è molto più trendy e “figo” di un capo 5XL.

Ma ci sono tanti tifosi del Grifo con misure abbondanti che – come il sottoscritto – si devono privare del piacere di poter acquistare e dell’orgoglio di poter indossare capi del Perugia Calcio.

Magari non la divisa ufficiale del Grifo – per cui l’over size è forse chiedere troppo – ma almeno qualche altro capo con misure più ampie (felpe, polo, tute, bermuda, t-shirt, piumini, ecc.) si potrebbe pur produrre!

Se il Presidentissimo pensasse anche a noi “in carne”, gliene saremmo molto grati!

Venendo a noi, “a bocce ferme” voglio approfondire un tema importante.

Quest’inverno – dopo l’ennesima disfatta casalinga con l’Empoli all’ultima di andata – scrissi che Santopadre doveva dimostrare con i fatti (investendo) che egli crede ed ama il Grifo.

In alternativa avrebbe dovuto cedere la Società.

Il che – sottolineai nelle settimane successive – era concetto ben diverso dal voler “cacciare tout court” il Presidente e dagli attacchi “a testa bassa” (“Santopadre vattene”).

Per sgombrare il campo da ogni equivoco, chiariamo che il Presidente Santopadre è saldamente in sella a Pian di Massiano, è impegnato nella costruzione della squadra per la prossima stagione, è impegnato con le Istituzioni cittadine per trovare le risorse e realizzare il progetto di rifacimento del Curi.

Ed – almeno per ora – non ha alcuna intenzione di cedere la mano.

Sembra, inoltre, che per la prossima stagione avremo poltroncine nuove in tutto lo stadio, con un investimento importante da parte della Società.

Ma nell’ipotesi che il Presidente Santopadre avesse deciso quest’inverno (o decidesse in futuro) di passare la mano e cedere il Perugia Calcio, chi potrebbe comprare la Società?

Da molti anni – tranne la parentesi di Covarelli su cui è meglio stendere un velo pietoso – la proprietà del Perugia Calcio è di imprenditori non perugini.

In primis la “colonia” romana: da Gaucci a Silvestrini, fino all’odierno Santopadre.

Eppure da sempre imprenditori perugini di primo piano sono habitué del Curi e tifosi sfegatati.

I nostri fotografi più anziani possono ben testimoniare gli esercizi di prospettiva che facevano in passato – spesso su commissione – per fotografare i nostri imprenditori allo stadio, includendo nella foto i vari VIP presenti (Agnelli, Sensi, Moratti, Berlusconi, Cragnotti, Tanzi, ecc.).

Imprenditori-tifosi umbri alcuni dei quali avrebbero anche le capacità imprenditoriali, economiche e finanziarie di sostenere la proprietà del Perugia Calcio.

Eppure, dai tempi di Spartaco Ghini, a nessuno di questi imprenditori è mai passato per la testa di entrare nella compagine societaria.

Nemmeno nei momenti peggiori in cui avrebbero potuto acquistare la Società con pochi soldi.

Momenti in cui acquistare il Perugia Calcio sarebbe stato anche un atto di amore e di responsabilità nei confronti della città.

Perché?

La risposta più frequente ed abusata è che ormai il calcio – anche quello professionistico – non è (più) un business redditizio, ma anzi comporta investimenti ingenti, praticamente a fondo perduto.

Allora, però, nessuno dovrebbe investire nel calcio, ma così – invece – non è.

Senza addentrarci in disamine tecnico-finanziarie ed economiche che ci porterebbero lontano, va – invece – sottolineato che un’oculata gestione di una società calcistica professionistica, ancora può essere redditizia.

E Santopadre docet.

Se un imprenditore è bravo a districarsi tra sgravi fiscali, plusvalenze, valorizzazione del vivaio e dei giovani, società sportive collegate/patrocinate, iniziative collaterali, ecc.; è attento a contenere le spese ed a massimizzare gli introiti, alla fine dell’anno qualche soldo lo può ricavare.

La valutazione sulla proprietà del Perugia Calcio, quindi, va fatta sotto un’altra prospettiva.

Quali sono i PRO ed i CONTRO di diventare proprietario del Perugia Calcio?

Quanto ai PRO, innanzitutto il fatto che il Perugia è una società con una storia importante e – per il suo blasone – tra le squadre “provinciali” si pone nella fascia più alta.

In buona sostanza essere proprietario del Perugia può dare una grande visibilità, maggiore e più qualificata di squadre di altre città, anche più grandi della nostra.

Ed essere Presidente del Perugia Calcio può dare visibilità e prestigio anche al “core business” dell’imprenditore/Presidente.

Il Grifo, poi, può vantare uno “zoccolo duro” di 5-6000 abbonamenti – con punte di 7000 – ed introiti minimi garantiti ogni anno.

Ha una Curva appassionata e magnifica – la più bella d’Italia – che spinge la squadra, invogliando e motivando giocatori ed allenatori a venire a Perugia, piuttosto che in altre città.

Inoltre Perugia vanta un ambiente cittadino sano, molto gradito dai giocatori e dalle loro famiglie, ma anche ottimo per la crescita e la valorizzazione di giovani talenti di grandi squadre.

In buona sostanza essere Presidente del Perugia Calcio significa essere una vera e propria personalità – al pari delle altre cariche istituzionali cittadine – ma con rilevanza anche nazionale.

Veniamo ora ai CONTRO.

Il pubblico perugino, com’è annoverato tra i “PRO”, va annoverato anche tra i “CONTRO”.

Innanzitutto i Perugini sono un popolo comodo, pigro e difficilmente entusiasmabile.

Ciò significa che generalmente preferiscono non venire allo stadio, ma seguire il Grifo alla TV.

In questa disamina vanno esclusi i Gruppi della Nord, perché essi – seppur sempre presenti ed appassionati sia al Curi che in trasferta – incidono solo per il 10% ca. sul numero degli ingressi complessivi.

Facendo un esempio concreto, Cesena – città più piccola di Perugia (meno di 100.000 abitanti), la cui squadra si dibatte negli ultimi anni nella parte medio-bassa della classifica cadetta ed attualmente a rischio fallimento – ogni stagione può vantare circa 10.000 abbonati, contro i nostri circa 6.000.

Noi che – a differenza loro – in 4 stagioni di B abbiamo raggiunto per ben 3 volte i play off e costantemente nella parte sinistra della classifica…

Praticamente circa il 10% della popolazione cesenate sottoscrive l’abbonamento.

Ogni gara interna all’“Orogel”, inoltre, vede la presenza – in media – di 12/14.000, con punte di 16.000 spettatori, quando il Curi normalmente fatica a raggiungere i 10.000, attestandosi su medie stagionali ben più basse.

Nonostante alcuni buoni risultati e nonostante quasi ogni anno il Perugia sia in corsa per la promozione, infatti, da anni non si vede lo stadio cittadino “sold out”.

Tranne alcune gare (es. Perugia-Frosinone del 2014, i play off, i derby, ecc.) il Curi si presenta desolatamente semivuoto, con curva e tribuna affollate (ma ben sotto il limite della capienza) ed una gradinata con poche centinaia di tifosi.

Anche nei tempi gloriosi dell’era-Gaucci – al di là delle “grandi” (Juve, Milan, Inter, Roma, Lazio, Fiorentina, Napoli, ecc.) v’erano gare che vedevano lo stadio poco affollato.

E nulla, negli ultimi anni, riesce a mobilitare il pubblico perugino.

Né un’ottima campagna acquisti, né ottimi risultati consecutivi e bel gioco, né la concreta speranza di promozione, né – tantomeno – gli accorati appelli del Presidente Santopadre.

Se, però, è difficilissimo scaldare la tifoseria biancorossa, è invece facilissimo raffreddarla.

Proprio per il blasone e la storia che il Grifo vanta (uniti all’autoreferenzialità, difetto congenito del provincialismo), il pubblico perugino è molto esigente e non perdona nulla.

É sufficiente una gara sbagliata, una stagione sottotono (es. 2015/2016), un periodo di flessione e c’è una vera e propria emorragia dallo stadio.

Rimangono a casa addirittura gli abbonati.

E per fortuna ci sono i Gruppi della Nord su cui si può sempre contare!

Se poi la gara sbagliata è il derby o il periodo di flessione sono 5 sconfitte consecutive – come abbiamo visto quest’anno – oltre all’emorragia vi sono durissime (finanche violente) contestazioni e fischi.

Penso che il Curi sia uno dei pochi stadi in Italia in cui – anche se il Grifo sta vincendo – a volte viene fischiato un calciatore di casa colpevole di aver giocato male.

Per non parlare della ridda di illazioni infamanti che iniziano a girare incontrollate.

Chi sarebbe, quindi, disposto ad investire energie, lavoro e denaro in una piazza – ancorché prestigiosissima – che è difficilissimo entusiasmare, ma pronta a contestare ed infamare il Presidente ed i dirigenti alla seppur minima flessione o difficoltà?

Una piazza in cui è difficilissimo aumentare gli spettatori, ma ci vuole pochissimo a perderli.

Una piazza in cui alcuni disegnano il Presidente o i dirigenti come i peggiori delinquenti della storia, solo per una partita persa, ancorché malamente.

Santopadre può starci simpatico o no, possiamo condividere o meno la sua gestione.

Ma una cosa è criticare in maniera costruttiva i suoi metodi di gestione e/o le sue esternazioni.

Tutt’altro è attaccarlo personalmente, infamarlo, accusarlo di scorrettezze o peggio.

Ma ciò non dipende dalla persona di Massimiliano Santopadre, ma solo dal ruolo che rappresenta.

Perché i “leggendari” Presidenti del passato (Spagnoli, D’Attoma, Ghini e Gaucci) ricevettero in tempi diversi più o meno lo stesso trattamento.

Forse è questo uno dei motivi per cui – a tutt’oggi e nonostante tanti PRO – non c’è la fila per acquistare il Perugia Calcio.

Avv. Gian Luca Laurenzi