Di chi è la colpa? “Guardiamoci negli occhi”. Facile ora prendersela solo con gli uffici di Pian di Massiano. Ma anche parte della città e della tifoseria è responsabile indiretta di questa retrocessione
L’incubo si è concretizzato: il Grifo è retrocesso in Lega Pro.
Sarebbe facile, ora, per noi di SportPerugia che in tempi non sospetti criticavamo il Presidente Santopadre, la Società, le modalità di gestione tecnica e le scelte di mercato, sostenere con soddisfazione “ve l’avevamo detto, ma non ci avete creduto, anzi ci insultavate”.
Ce ne hanno dette di tutti i colori, ma ora non c’è alcuna soddisfazione: la dimostrazione di avere ragione – concretizzatasi nel peggiore dei modi – non ci dà alcun appagamento.
Avremmo, invece, voluto avere torto marcio e continuare a prendere insulti, ma con il Grifo che manteneva la categoria e non aver amaramente ragione con il Perugia in C.
Certo, tutto ciò che abbiamo stigmatizzato nel Perugia Calcio in tutti questi anni ci ha portato in Lega Pro.
Lo smantellamento di quella fantastica squadra della promozione del 2014; la mancanza di ogni tipo di programmazione; l’uso smodato dei prestiti e gli oltre 150 giocatori transitati a Pian di Massiano (senza che nessuno di essi lasciasse una traccia tangibile); uno (o più) tecnici ogni stagione, ricominciando ogni volta da zero; un settore giovanile che a tutt’oggi non ha prodotto un calciatore degno di questo nome.
Ma non solo questi aspetti più eclatanti, ma anche altri passati più sotto tono.
Tante figure “magicamente” sparite: dal preparatore dei portieri, alla “bandiera” Comotto, ai fisioterapisti, ecc.
Demolendo scientemente la struttura vincente che ci aveva riportato in B.
Oltre all’altrettanto scientifico repulisti dei perugini intorno al Perugia Calcio: da alcuni dipendenti al merchandising.
Quasi un voler rimuovere ogni tipo di memoria storica, di legame con la città ed il passato.
É facile, facilissimo ora puntare il dito contro Santopadre, Goretti, Pizzimenti, lo staff tecnico ed i giocatori, sostenendo che sono gli unici responsabili della retrocessione.
Ma ritengo che non siano stati soli: hanno avuto “complici”, in gran parte inconsapevoli, ma pur sempre partecipi.
Innanzitutto noi tifosi e la città.
Come ho scritto tante volte, due fallimenti ci hanno tolto ogni coraggio.
La paura di fallire ancora una volta ha reso una tifoseria, un tempo fiera ed orgogliosa, ora servile e sottomessa.
Ed ecco che “i conti a posto” sono diventati – solo qui a Perugia – il nuovo merito sportivo.
Non la grinta, non l’attaccamento alla maglia, non programmare e costruire un progetto, non giocare bene e vincere, non lottare (veramente) per la promozione in A, ma solo tenere i conti a posto.
Il che è come dire di un autista di BusItalia che non provoca incidenti alla guida del bus: tenere i conti a posto è il minimo che si pretende per qualsiasi imprenditore, come una guida sicura per un qualsiasi autista pubblico.
Ed ogni critica al Presidente veniva duramente stigmatizzata da gran parte della tifoseria, perché “non si può criticare Santopadre, perché se va via non c’è nessuno e falliamo un’altra volta: lui tiene i conti a posto”.
Li tiene talmente a posto che sarebbe interessante capire dove sono finite le plusvalenze degli ultimi anni (Zeblì, Drolè, Mancini, Di Carmine, ecc.), perché investite nella rosa ed in un progetto tecnico non le abbiamo proprio viste…
Ma anche altri ambiti del tessuto sociale locale non possono sottrarsi da corresponsabilità.
É inutile, infatti, che stigmatizziamo il romano Santopadre per i suoi tatuaggi, quando – se escludiamo la pessima parentesi Covarelli – dai tempi del grande Spartaco Ghini non c’è alcun imprenditore locale che sia disposto a farsi carico del Perugia Calcio.
Nemmeno in tempi in cui ne avevamo bisogno come l’ossigeno ed acquistare il Grifo non sarebbe stato un gran impegno economico, dato che eravamo tra i dilettanti.
Nell’assenza d’imprenditori locali è stato facile per il romano Santopadre assurgere a “salvatore della patria perugina”.
E – con la consapevolezza che non vi fossero alternative – comportarsi di conseguenza.
Ma anche la stampa sportiva non è esente da responsabilità.
Tanto ha subito supinamente la stampa locale in questi anni.
Proclami del Presidente spacciati per “conferenze stampa”, senza però mai la possibilità di fare domande, anche scomode, che sono il “sale” del giornalismo.
Interviste di Santopadre sui principali quotidiani locali lo stesso giorno, le stesse domande, le stesse risposte, ma con la firma di diversi giornalisti…
Il fatto che l’esclusiva (a pagamento) concessa ad una sola emittente TV, abbia escluso tutte le altre dalla presenza (anche una sola volta nella stagione, come in tutto il resto d’Italia) di tesserati del Perugia, con buona pace della pluralità dell’informazione.
Il fatto che per articoli critici ad alcuni giornalisti (proprio di SportPerugia) sia stato tolto loro un paio di volte l’accredito al “Curi” e la testata sia stata fatta oggetto di continuo ostracismo.
Salvo, poi, scoprire – amaramente e con il senno di poi – che in quegli articoli quei giornalisti avevano ragione…
E mai nessuno che abbia incrociato le braccia e detto “ora basta, io così non ci sto!”.
Nessuno.
Anzi mi ricordo che un noto ed illustre giornalista sportivo locale ai tempi di GalaSport venne più volte in trasmissione per stigmatizzare il nostro atteggiamento critico, difendendo a spada tratta l’operato della dirigenza biancorossa, vittima delle nostre “immotivate” opinioni negative.
E quindi nel colpevole silenzio ed acquiescenza di gran parte della città la dirigenza biancorossa ha preso – pressoché indisturbata – la strada per il burrone che ci ha precipitato in C.
Quindi se si vuole per forza fare l’inutile (adesso) esercizio di scovare i colpevoli di questa retrocessione, bisogna – sì – guardare principalmente negli uffici di Pian di Massiano, ma anche guardarci tutti noi, nessuno escluso, negli occhi.
Cosa che consigliava spesso il grande ed indimenticato Franco D’Attoma: “guaglio’, guardiamoci negli occhi!”.
Avv. Gian Luca Laurenzi