Non c’è dialogo

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Il presidente del Grifo commenta la decisione favorevole sul ricorso del Lecco

Non c’è dialogo. I fischi post-gara di lunedì figli anche delle scelte del presidente

 

Come dicevo la settimana scorsa, come una rondine non fa primavera, una goccia (o anche due) di pioggia non fanno nubifragio.

Purtroppo ora le “gocce di pioggia” (sconfitte) sono diventate 3 e – seppur non si possa parlare di “nubifragio” – sicuramente di temporale sì.

La sconfitta casalinga con i toscani è ingiusta, siamo tutti d’accordo.

E soprattutto alla luce del secondo tempo biancorosso arrembante ed intenso, con l’Empoli che sembrava alle corde.

Eppure un’intera gara ha prodotto un solo tiro nello specchio della porta toscana, contro i 3 avversari.

Ed è questa una delle “regole auree” del calcio: è importantissimo il collettivo, ma anche la qualità dei singoli.

L’Empoli ha subito tutto il secondo tempo, ma nell’unica occasione avuta all’89mo – con un’azione da manuale – ha chiuso la gara e si è presa la vittoria.

Sprofondandoci a 3 punti dalla zona play out.

La Nord che ha incessantemente, per tutta la gara sostenuto il Grifo, non l’ha presa bene ed ha contestato la squadra al rientro negli spogliatoi.

Io penso che i fischi di lunedì sera abbiano un origine lontana e siano diretti anche alla Società.

Diciamocela tutta: Massimiliano Santopadre non ha mai legato con Perugia.

Ma perché?

Gran parte della città – con estremo realismo e razionalità – si rende conto dell’impossibilità (o mancanza di volontà) dell’imprenditoria locale di farsi carico del Grifo.

In effetti – al di là della disgraziata, quanto breve parentesi Covarelli – dall’uscita di Spartaco Ghini la proprietà del Grifo è stata sempre “romana”: da Gaucci a Silvestrini a Santopadre.

E tutti ci rendiamo conto che il Presidente – al netto delle sue reali possibilità economiche – allo stato sia l’unica possibilità concreta di avere una squadra tra i professionisti.

L’amministrazione Santopadre, poi, ha l’indubbio merito di averci riportato in B e – tranne il 2015/16 – di averci fatto sempre disputare i play off.

Perché non basta?

Probabilmente i motivi vanno cercati nel carattere alquanto spigoloso del Presidente e nella sua incessante ricerca del profitto.

Chiariamoci bene: non c’è nulla di male che un imprenditore cerchi il profitto ad ogni costo (principio sancito anche dalla Corte di Cassazione in numerose pronunce).

Tanto più che se la ricerca del profitto – in assenza di possibilità di iniezioni finanziarie – garantisca la sopravvivenza del Perugia Calcio.

Ma – come tante volte detto – il calcio è un’impresa anomala.

Da una parte, infatti, soggiace alle stesse regole economico-finanziarie di tutte le imprese.

Quindi bilanci in equilibrio, no “spese pazze”, pagamento regolare di stipendi e tasse, ecc.

Ma dall’altra ha una fondamentale componente emotiva, che – però – incide sulle entrate.

Come, quindi, un’azienda che produce microchip viene giudicata (asetticamente) per il rapporto qualità/prezzo dei suoi prodotti, una società sportiva viene giudicata, valutata innanzitutto per l’intrattenimento che offre, per lo spettacolo e per i risultati.

Poi viene valutata anche per la propria immagine a 360°, di cui parte importante riveste il massimo dirigente.

Più di una volta, infatti, ho sottolineato come il Presidente del Perugia Calcio sia un personaggio pubblico cittadino, al pari di un politico o di un amministratore e come tale si deve comportare.

E che ogni sua dichiarazione, ogni suo comportamento siano esaminati minuziosamente al microscopio.

Se, quindi – sotto il profilo imprenditoriale – dichiarazioni tipo “siamo una corazzata”, “in 3 anni la A”, “il nostro obiettivo è la promozione”, ecc. abbiano un senso, costituendo uno degli elementi fondamentali di qualsiasi impresa: la pubblicità.

Sotto il profilo emotivo, quello dell’affezione sono un boomerang, quando a tali dichiarazioni non corrispondano i fatti.

E l’atteggiamento societario – unito ai magri risultati sportivi – non aiuta certo a disinnescare la disaffezione serpeggiante, che vediamo nel calo degli abbonamenti e nei vuoti al Curi.

Il fatto che il Grifo sia poco aperto alla città; che siano gestite accuratamente e con una ratio “imprenditoriale” tutte le uscite dei Grifoni; il sistema dell’esclusiva mediatica, per cui i giocatori e dirigenti possano partecipare alle trasmissioni di una sola emittente.

Soprattutto quando la città era abituata in passato che i Grifoni – compatibilmente con gli impegni sportivi – partecipavano a cene, happening, trasmissioni televisive e radiofoniche di ogni emittente, rispondevano a domande, anche scomode.

Insomma: tutti si aprivano alla città ed erano protagonisti, parte integrante della vita perugina.

Ma anche lo stesso atteggiamento di Santopadre che continua a convocare “conferenze stampa”, solo per proclami unilaterali, non rispondendo a domande.

Dando l’idea di voler evitare il confronto e fornire solo la sua verità in maniera aristotelica.

L’annunciare il “silenzio stampa” (pratica ormai diffusa), ma “alla perugina”.

Ovvero “a cremagliera”, come avrebbe detto il Rocco Smitherson (al secolo Corrado Guzzanti) della trasmissione “Avanzi”: silenzio con alcune testate e si parla solo con altre.

Così si dividono i media tra “buoni” e “cattivi” e si potrebbe dare (non so dire quanto volutamente o no) l’impressione che s’incolpino alcuni giornalisti delle difficoltà del Grifo (!!)

In definitiva non c’è dialogo tra la Società e la piazza, ma solo monologhi in cui oltretutto si sceglie l’interlocutore.

Tutto ciò – soprattutto in situazioni di crisi di gioco e di risultati – non è per niente di ausilio.

E la piazza – anche per questo – si sente presa in giro ed arrivano i fischi.

Avv. Gian Luca Laurenzi