Cosa non si fa per il Grifo

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Cosa non si fa per il Grifo. In un momento delicato per squadra e società, viaggio tra i ricordi che segnano l’amore incondizionato per una maglia

 

Immensa tristezza, delusione, silenzio.

Oggi è così.

Ritengo che non sia il caso di analizzare le responsabilità, fare accuse e recriminazioni.

L’abbiamo fatto ampiamente, abbiamo analizzato in maniera approfondita questo periodo ed è tutto nero su bianco.

Ma da oggi il mio atteggiamento sarà di lasciar lavorare la Società, osservare e rimandare ogni valutazione.

Non ritengo che ora occorrano ulteriori accelleranti, in un ambiente già abbondantemente avvelenato di suo.

E quindi voglio provare ad alleggerire gli animi, parlando sempre del Grifo, ma in una prospettiva diversa, tentando di dimenticare – almeno il tempo di leggere l’articolo – la dura realtà.

Scorrendo le foto che quasi ogni gara casalinga faccio alla nostra fantastica Curva Nord, ne ho ritrovata una di uno striscione che un po’ di tempo fa apparì in Curva.

Diceva “Lassan’ gì ‘gnicosa per ‘nitte a vede’”.

Intendeva che il vero tifoso del Grifo perde letteralmente la testa per vedere il Perugia.

Su questo tema, vi sono numerosi aneddoti e vorrei raccontarvene un paio, sperando strapparvi qualche sorriso.

Il sottoscritto – abbonato al Grifo – era in trasferta invernale per lavoro in una ridente, quanto sperduta cittadina dell’opulento Nord-Est.

Chiaramente l’udienza in quel Tribunale – a cui dovevo presenziare personalmente – era la mattina presto e fui costretto a partire la sera precedente per pernottare lì.

Ma il Grifo giocava al Curi proprio quella sera.

Dopo tutti i moccoli del caso, prenotai l’hotel – sincerandomi che avesse Sky – e mi accingevo ad una serata di tifo solitario in camera.

Con un’ulteriore scarica di moccoli mi accorgevo, però, che l’hotel aveva – sì – Sky, ma non Sky Calcio e, quindi, non si vedeva la partita.

Come se non bastasse non funzionava nemmeno la rete wireless e l’albergo era situato in un “triangolo delle Bermude” senza la connessione 4G.

Anche SkyGo andato.

In preda ad un parossismo di disperazione, affrontai come un invasato il concierge, pregandolo di risolvermi il problema, perché dovevo vedere a tutti i costi il Grifo.

Il poveretto in un primo momento meditò sicuramente di chiamare il 118 e sottopormi a TSO.

Poi s’impietosì, mi disse che dalla mattina la connessione internet era saltata, che ci stavano lavorando e che sarei dovuto andare in cerca di un locale che avesse Sky, non sapendomi, però, suggerire dove.

Ora immaginatevi una cittadina del Nord-Est, una sera d’inverno e di martedì.

Nebbia, freddo glaciale, strade deserte, nemmeno un gatto: mancava un ululato lontano e saremmo stati in piena atmosfera gotica alla Bram Stoker.

Girai una mezz’ora con l’auto, fendendo la nebbia e scrutando le strade, nella parossistica ricerca di un locale aperto: sembravo un maniaco sessuale in cerca di prostitute.

Ma anche se lo fossi stato, nemmeno quelle c’erano per strada.

Meditai anche di bussare alla Fantozzi in qualche casa pietendo una TV con Sky, ma immaginai che sarei stato trattato peggio di un Testimone di Geova.

Mentre si avvicinava il calcio di inizio – sempre più disperato – mi rassegnai a fermarmi da qualche parte in auto, dove c’era la connessione 4G, e congelarmi, mentre mi sguerciavo sullo smartphone.

All’improvviso – come un’oasi per l’assetato – mi apparve un Bar-Tabacchi con l’adesivo di Sky sulla porta.

Abbandonai l’auto quasi in mezzo alla strada (tanto non passava anima viva) e mi catapultai dentro.

Era il classico baretto anni ’80, con 4 tavolini in formica, un triste bancone con prodotti che risalivano all’inaugurazione del locale, una bachechina con 5 (dico cinque) pacchetti di sigarette.

Un omone baffuto dietro il bancone ed una decina di vecchietti che giocavano a carte, ma soprattutto in un angolo una TV sintonizzata su Sky Calcio, in quel momento sul Cittadella.

Con tutta l’educazione di cui sono capace esposi al barista il mio problema e chiesi – quasi implorai – di potere vedere il Grifo.

Quello – con diffidenza – si guardò intorno e mi rispose che non era possibile, che c’erano quegli avventori (che non mi parevano così interessati alla TV) arrivati prima, che volevano vedere il Cittadella.

Mi guardai intorno – rassegnato a dover pietire uno per uno – quando mi accorsi che davanti ad ogni vecchietto c’era un bicchiere: vino, grappa o altri distillati.

Che cos’è il Genio? È fantasia, intuizione, decisione e velocità d’esecuzione.

-Scusate signori! Offro un giro a tutti se mi permettete di vedere la partita del Perugia-

Un vecchietto che pareva il nonno di Matusalemme, con un collo rinsecchito da tartaruga, alzò dalle carte uno sguardo acquoso e mi rispose -Vai bocia!-

Alla fine io mi vidi la partita (un insulso pareggiaccio), ma mi costò una cinquantina di euro, dato che i giri offerti furono un paio.

Soldi mai rimpianti.

Un altro episodio riguarda uno stimato professionista che venne ricoverato in ospedale per una piccola operazione di routine.

L’operazione riuscì perfettamente ed il decorso post-operatorio era tranquillo.

Dopo alcuni giorni di degenza, i medici annunciarono al paziente che l’avrebbero trattenuto per cautela il fine settimana e l’avrebbero dimesso il lunedì successivo, dopo aver tolto i punti.

Già… peccato che il sabato giocava il Grifo fuoricasa e per scaramanzia la partita – se non si può andare in trasferta – va sempre vista dal solito amico, con lo stesso gruppo, nella solita poltrona.

Irremovibili i medici ad ogni sua supplica di dimissione anticipata, iniziò, quindi, la minuziosa pianificazione di una temporanea evasione degna del leggendario film “La Grande Fuga” con Steve McQueen.

Ancor prima di pensare a come recarsi a casa dell’amico, c’era da risolvere il problema di come uscire indisturbato dal reparto ospedaliero e, soprattutto, di come eludere il controllo della moglie.

Perché – si sa – le mogli non sono mai molto indulgenti quando si tratta di bravate e soprattutto per il calcio.

Qui il paziente ebbe un colpo di Genio, prendendo “due piccioni con una fava”.

Innanzitutto – già dal mercoledì, sulla scorta che in ospedale si dorme poco – iniziò a lamentare con chiunque una grande stanchezza e la necessità di recuperare il sonno perduto.

Rivendicando la possibilità di essere lasciato in pace per riposare il primo pomeriggio, l’unico momento abbastanza calmo in ospedale.

Con consumata bravura da Oscar, quindi, ogni pomeriggio si fingeva profondamente addormentato, non “svegliandosi” mai prima delle 17.

Riusciva a simulare anche una leggera, quanto credibile russata.

Sulla scorta di tale “abitudine” ed essendo ormai autosufficiente per le normali incombenze, convinse la moglie che era inutile che lo andasse a trovare prima delle 17, tanto dormiva.

Riuscì addirittura a convincere la Caposala ad anticipargli la flebo pomeridiana, per poter “dormire” in pace e senza interruzioni.

Iniziarono, quindi, una serie di telefonate sussurrate e messaggi in un bizzarro quanto incomprensibile codice con gli amici, per pianificare la logistica dell’evasione.

Arrivò il sabato.

Il nostro, dopo aver consumato il frugale pasto ospedaliero, iniziò a sbadigliare vistosamente e si preparò per infilarsi nel letto e farsi il “consueto” sonnellino pomeridiano.

Intanto un complice in auto con il motore acceso lo attendeva discreto ad un’uscita secondaria del nosocomio.

Si alzò furtivo, aprì l’armadietto e scoprì con sgomento che l’efficientissima moglie – visto che sarebbe uscito il lunedì – gli aveva portato via i vestiti e le scarpe.

Tirò due moccoli, ma non si perse d’animo: infilò le ciabatte e si affacciò nella camera adiacente, facendo l’occhiolino ad un altro degente, poi si ritirò nella sua.

Sentì il “complice” chiamare l’infermiere di turno che era finita la flebo.

Attese che l’infermiere entrasse nella camera e ciabattando indisturbato per la corsia, con tutta la velocità possibile, si dileguò nell’ascensore.

Si presentò dagli amici in ciabatte, t-shirt e calzoni del pigiama, oscenamente aperti sulla patta.

Pure con l’ago della flebo – per fortuna ben tappato – infilato in vena.

Tifò come un matto, godendosi la rotonda vittoria del Grifo.

Rientrò indisturbato in ospedale, precedendo di pochissimi minuti la moglie, la quale – vedendolo sorridente e rilassato – gli ricordò astiosa di godersi la degenza ed il periodo di forzato riposo, che il sabato successivo l’avrebbe accompagnata al centro commerciale a fare shopping.

Lui si stese felice sul letto, pregustando già di essere sugli spalti del Curi e ‘fanculo il centro commerciale!

Non c’è niente da fare: per il Perugia “lassan’ gì ‘gnicosa”…

Ora come mai, forza Grifo!!

Avv. Gian Luca Laurenzi